SALENTO: Una terra da scoprire

mercoledì 4 giugno 2008

I dolmen e i menhir nel Salento

DOLMEN:

La parola Dolmen deriva dall'antico bretone tol o tuol (tavola) e men (pietra lavorata). Già presenti nel IV-III millennio a.C. nelle regioni europee settentrionali ed occidentali. Si tratta di un monumento megalitico costituito generalmente da un lastrone di pietra appoggiato orizzontalmente su pietre infitte verticalmente nel terreno. C'è chi afferma che sono monumenti funebri, chi invece pensa che venissero usati per i sacrifici, tale ipotesi sembra confermata dalla presenza di cataletti scavati sulla superficie di alcuni Dolmen. Generalmente, l'entrata del dolmen, è posta ad est, per gli uomini primitivi era il punto cardinale più importante essendo il punto dove ogni mattina sorge il sole, astro importante per la vita del nostro pianeta. Oltre a questa funzione sepolcrale è probabile che i Dolmen servissero per i riti sacrificali in occasione del seppellimento o per rendere omaggio alle divinità.
Notevoli presenze dolmeniche sono presenti a Maglie, Melendugno, Calimera, Minervino
e Salve, dove sono stati rinvenuti frammenti di ossidiana, pezzi di ceramica e ossa umane.
MENHIR :
Il menhir è un monumento megalitico: un monolite conficcato nel terreno verticalmente. In Europa ci sono vari tipi di monumenti megalitici, di differente struttura come i Cromlech di Stonehenge in Inghilterra (numerosi giganteschi triliti posti in circolo).Quelli salentini, salvo rarissime eccezioni, sono del tipo di roccia comunemente detta "pietra leccese" ed infissi in banchi della stessa roccia soprattutto nella zona chiusa tra i comuni di Lecce, San Cesario, San Donato di Lecce, Galugnano, Zollino, Corigliano d'Otranto, Cursi, Minervino di Lecce, e, ritornando verso Lecce, Martano, Castrì di Lecce, Lizzanello, Cavallino e Merine.
Tutti questi menhir salentini sono databili dal III al II millennio a.C. ed a tutti generalmente è attribuita una funzione commemorativa, funeraria o di pratica rituale religiosa. Secondo diversi studiosi tali monumenti in passato non hanno avuto sempre la stessa funzione: essa è stata variata e determinata dalla cultura, dalle necessità e dal contesto socio-economico delle popolazioni di quei tempi.

giovedì 29 maggio 2008

ARAMAICO







alfabeto aramaico



L'aramaico è una lingua semitica che vanta circa 3.000 anni di storia. In passato, fu lingua di culto religioso e lingua amministrativa di imperi. L'aramaico appartiene alla famiglia linguistica delle lingue afro-asiatiche e alla sottofamiglia delle lingue semitiche. L'aramaico costituisce più un gruppo di lingue imparentate piuttosto che una lingua con vari dialetti. La lunga storia dell'aramaico, la ricchezza della sua letteratura e il suo utilizzo da parte di diverse comunità religiose sono tutti fattori che hanno contribuito alla sua diversificazione. Alcune lingue aramaiche sono conosciute con diversi nomi: per esempio, il termine "siriaco" è usato per designare l'aramaico utilizzato da varie comunità cristiane del Vicino Oriente. I dialetti si possono dividere tra occidentali e orientali, con l'Eufrate a fare da linea di confine. Inoltre è utile distinguere fra le lingue aramaiche ancora in uso quelle utilizzate solo in ambito liturgico e letterario e quelle che sono estinte.
Aramaico antico
Questa fase copre tredici secoli di storia della lingua, e comprende tutte le varietà della stessa che non sono più parlate. La svolta dell'Aramaico antico avvenne attorno al 500 a.C.
, quando l'Aramaico arcaico divenne l'Aramaico imperiale. I vari dialetti di Aramaico acquistano importanza quando il Greco rimpiazza questo nelle sale del trono locali.

mercoledì 28 maggio 2008

M’illumino d’immenso

“M’illumino d’immenso” è un progetto che mira a creare un vero e proprio “laboratorio”, capace di accogliere tanti futuri medici desiderosi di sperimentare concretamente i benefici effetti dell’umorismo sulla salute, non solo dei pazienti, ma di interi reparti d’ospedale. “M’Illumino d’immenso” è nato dalla convinzione che si possa – a piccoli passi – cambiare in meglio l’ambiente ospedaliero. Ci proponiamo il grande scopo, tramite l’insegnamento agli studenti delle tecniche di clownterapia, di formare futuri operatori sanitari consapevoli che il rapporto umano medico - paziente non sia un optional ma un elemento essenziale per il normale svolgimento della professione medica.



http://lai.dfc.unifi.it/iam/testi/millumino/presentazione.html

martedì 27 maggio 2008

ANKH

Simbolo egizio di origini antichissime, l'Ankh significa "vita", nella duplice accezione di esistenza terrena ed eterna. Nei bassorilievi compare spesso in mano agli dei. Anche i faraoni, in virtù della loro natura insieme umana e divina, sono spesso associati a questo simbolo: riferito a questi ultimi, Ankh significa allora sia vita ricevuta (dagli dei), sia potere di dare vita (al popolo). Pare che nel periodo dinastico antico (3100-2755 ca. a.C.) l'anello del simbolo venisse ricondotto a Iside, dea della maternità e della fertilità, e l'asta sottostante a Osiride, dio della forza generatrice maschile e signore dei morti: l'unione di principio femminile e maschile genera la vita. Un'altra interpretazione identifica l'anello con la vita eterna e la croce con l'esistenza terrena. Infine, l'Ankh viene talvolta detto anche "chiave della vita", poiché grazie ad esso il defunto poteva accedere alla vita ultraterrena.

INFINITO

"Come l’infinito è completamente presente in ogni punto dello spazio, così tutta l’eternità è completamente presente in ogni punto del tempo. Così, dal punto di vista dell’eternità, assolutamente tutto il tempo è adesso, così come l’infinito, tutto lo spazio è qui.. Poichè tutto il tempo è adesso, ne segue che il passato e il futuro sono proprio delle illusioni..”


Ken Wimber


L’Ouroboros
L’Uroboro (dal
Greco “ουροβóρος“) è un simbolo molto antico che rappresenta un serpente che si morde la coda, ricreandosi continuamente e formando così un cerchio. È un simbolo associato all’Alchimia e all’Ermetismo. Rappresenta la natura ciclica delle cose, la teoria dell’eterno ritorno, e tutto quello che è rappresentabile attraverso un ciclo che ricomincia dall’inizio una volta aver raggiunto la propria fine. In alcune rappresentazioni il serpente è rappresentato mezzo bianco e mezzo nero, richiamando il simbolo dello Yin (nero,principio femminile, luna, terra) e dello Yang (bianco,principio maschile, sole, cielo), che illustra la natura dualistica di tutte le cose e soprattutto che gli opposti non sono in conflitto tra loro. Pare che il simbolo si ispiri alla forma della Via Lattea, dal momento che in alcuni antichi testi era considerata un enorme serpente di luce che risiedeva nel cielo e circondava tutta la terra. Questo simbolo viene attribuito all’antica alchimista Cleopatra (da alcuni identificata con la famosa regina Cleopatra) che volle rappresentare l’unità del cosmo. “En to pan”, “Uno il Tutto”, è infatti il motto contenuto nella Crisopea di Cleopatra. La ciclicità è la metafora più immediata di questo simbolo e per derivazione anche l’eternità data dal ripetersi costante di cicli finiti. Dietro, l’idea che l’intero universo sia un’entità, un organismo unitario, di cui le singole parti, qualunque distanza le separi, sono legate tra loro in modo necessario. Il serpente si morde la coda, che è dire l’inizio e la fine coincidono, l’evoluzione rinasce incessantemente dalla sua stessa distruzione, in un movimento infinito. E’ possibile rintracciare in questo simbolo anche il principio di conservazione dell’energia, l’armonia cosmica costituita dall’eterno e ritmico alternarsi e fondersi di attività e passività. Il principio maschile e quello femminile sono fusi l’uno nell’altro in una unione primordiale e indifferenziata che ci riporta all’Androgino (dal greco aner, “uomo” e gyne, “donna”), l’essere primogenio in cui si risolve il contrasto di maschile e femminile. L’Ouroboros ci rimanda in sostanza ad una realtà unica ed ultima in cui si riscontrano gli opposti e che rappresenta l’essenza dell’intero Universo, la sua forza latente, la fusione di Uno e Tutto e del Tutto in Tutto.

venerdì 23 maggio 2008

CASTEL DEL MONTE: tempio iniziatico

La forma deriva dal pentagono stellato, l'ottagono su cui è articolata la pianta del complesso e dei suoi elementi è una forma geometrica fortemente simbolica: si tratta della figura intermedia tra il quadrato, simbolo della terra, e il cerchio, che rappresenta l'infinità del cielo, e quindi segnerebbe il passaggio dell'uno all'altro. L’ipotesi di Castel del Monte villa romana, castello di difesa, castello di caccia, luogo di delizie a un certo punto non ha più retto a un attento esame del buon senso. Ciò ha schiuso la possibilità di una lettura diversa quale quella astronomica rivelando numerose implicazioni cosnúche anche a discapito della funzionalità. Alla lettura in chiave astronomica è seguita quella in chiave matematica e geometrica rivelando anch’essa una delirante elaborazione numerologica dell'architettura anche questa volta a discapito della pratica fruizione del manufatto. La conseguenza logica e naturale di tutto questo è la domanda: Perché sarebbe stata realizzata una costruzione tanto fastosa, tanto costosa, tanto elaborata e, nondimeno, tanto isolata?Ed ecco che scaturisce la necessità di una diversa interpretazione consona ai tempi, alla cultura, alla filosofia, alle conoscenze dell’epoca in cui il castello fu costruito. E ne consegue la lettura esoterica che qui di seguito si descrive. Immaginiamo di giungere a Castel del Monte e soffermarci dinanzi al portale principale; esso guarda ad Est (sorgere del Sole agli equinozi di primavera e d’autunno), ma sulle due colonne che fiancheggiano la porta sono accovacciati due leoni, quello di destra guarda verso sinistra, quello di sinistra guarda verso destra, in altre parole i loro occhi sono rivolti verso i punti dell’orizzonte in cui sorge il Sole alle date dei solstizi d’estate e d’inverno. Non dimentichiamo la coincidenza delle date dei solstizi con le festività dei due S. Giovanni, il Battista il 24 giugno e l’Evangelista il 21 dicembre, nonché con le cosiddette porte solstiziali, quella degli uomini e quella degli dei. Il timpano che sovrasta il portone è un triangolo col vertice aperto a 108 gradi come il Delta Luminoso che è all’Oriente del Tempio massonico sul trono del Maestro Venerabile. Ciò rende evidente che il Delta Luminoso affonda le radici nella più remota tradizione. Nel timpano di Castel del Monte era racchiuso altresì un bassorilievo di cui non si fa menzione in nessuno scritto, ma che s’intuisce osservando le tracce delle evidenti scalpellature operate per rimuoverlo o per distruggerlo. Entriamo nel castello: la prima sala è oggi destinata alla biglietteria e se alziamo gli occhi scorgiamo nella chiave di volta una ghirlanda o corona vegetale. Per uscire nella corte dobbiamo entrare prima nella sala accanto, quindi attraversare una porta che si presenta al nostro sguardo arricchita da un fastoso portale. Varchiamo la soglia e dinanzi a noi si presenteranno, sempre nel cortile, altri due portali fastosi, ma se ci voltiamo a guardare il varco dal quale siamo passati constateremo che il portale fastoso che abbiamo attraversato è disadorno dall’altro lato, ossia dal lato che ci lasciamo alle spalle. Il significato di questo primo messaggio è che procedendo nel percorso iniziatico del castello si va verso la bellezza della spiritualità lasciando dietro di noi una profanità disadorna. A conferma di ciò, ossia che procedendo troveremo dinnanzi sempre il bello e lasceremo indietro sempre il brutto, ci sono gli altri due portali affacciati sul cortile che, fastosi dinanzi a noi, dall’altro lato sono disadorni e poveri. Entriamo quindi nel portale a sinistra e ci troveremo nella sala che presenta quale chiave di volta la maschera del Bafometto, simbolo templare, che è un invito alla meditazione. Si passa nella sala a sinistra che reca sul pavimento un tracciato magico. Qui trascrivo per intero quanto scrive Jorg Sabellicus in Magia pratica di circa la disposizione di una sala destinata a pratiche misteriche: «Disegnato al centro della sala un cerchio, lo si racchiude in un doppio quadrato, tracciato a una certa distanza da esso, con gli angoli disposti in direzione dei punti cardinali. La distanza tra i due quadrangoli deve essere di circa quindici centimetri. Intorno ad ogni angolo si deve disegnare un altro doppio circolo... Fuori del circolo è acceso un fuoco di carbone sul quale dovranno bruciare dei profumi». Nella sala in cui siamo entrati c’è il doppio quadrato, gli angoli sono esattamente orientati verso i punti cardinali, vi sono i quattro cerchi agli angoli e v’è il camino per bruciare i profumi. In più, al di fuori dei quadrati v’è un mosaico, oggi ve ne sono solo tracce, che ripete infinite volte il sigillo di Salomone, ossia i due triangoli equilateri sovrapposti, uno col vertice in alto, l’altro in basso e con le significazioni note (vertice in alto: montagna, Sole, fuoco, uomo; vertice in basso: grotta, Luna, acqua, donna) ossia tutta la realtà al di fuori della dimensione magica. In questa sala, al centro, si colloca il mago racchiudendosi in un cerchio che attualmente manca, ma può essere tracciato di volta in volta con la farina dal mago stesso. Nei quattro cerchi agli angoli si collocano gli adepti (il cerchio protegge dalle forze del male), nel camino si bruciano i profumi e il seguito della cerimonia (che è un rito di purificazione) si ignora trattandosi di un rito misterico. L’iniziando, purificato dal rito magico, si reca al piano superiore salendo per la scala a chiocciola che si apre nella torre cui si accede dalla stessa sala. Tale scala gira verso sinistra come la Terra nei suoi moti di rotazione e rivoluzione (ciò sempre per essere in armonia con ìl cosmo secondo una preoccupazione costante degli antichi). La torre è quella collocata esattamente a Sud in contrapposizione al Nord, ossia alla notte, alle tenebre perché l’iniziando compie il suo viaggio verso la luce. La porta è apribile solo dalla parte della torre, ossia chi deve salire deve essere accettato. Alla sommità della scala accade la stessa cosa: per entrare qualcuno deve aprire. Alla sommità della torre vi è una piccola volta sorretta da sei costoloni a loro volta sostenuti da sei telamoni (uomini accovacciati, nudi, con valore simbolico). La scala conduce l’iniziando nella sala accanto alla sala principale, quella che affaccia ad Est, dove sorge il Sole, quindi dove nasce la luce, quella luce dello spirito che l’iniziando è venuto a cercare. Da questa sala principale può vedersi (meglio dire poteva vedersi, perché è andato distrutto) attraverso la fìnestra che affaccia nel cortile, esattamente sulla parete di fronte, il bassorilievo che rappresentava una donna vestita alla greca che riceveva l’omaggio di cavalieri. Tale donna è SOPHIA, ossia la conoscenza ed esattamente la conoscenza iniziatica. Nella chiave di volta della sala c’è la testa di un vecchio con la bocca socchiusa e sta a rappresentare il soffio divino. Qui l’iniziando viene iniziato e nella cerimonia, che poteva aver luogo all’alba dell’equinozio, quando il Sole sorgente baciava col suo primo raggio la donna del bassorilievo, una sacerdotessa in carne ed ossa (Sophia) poteva baciare in fronte l’iniziato. Sui sedili che circondano la sala sedevano i partecipanti alla solenne cerimonia. Ora l’iniziato è in grado di capire i simboli che sono nel castello. Egli passa nella sala accanto dove nella chiave di volta vi sono quattro delfini stilizzati, simbolo della rigenerazione dell’anima che giunge nel porto della salvezza attraverso le acque dell’esistenza, quindi ACQUA. Procede nella sala successiva dove la chiave di volta reca quattro testine con la bocca aperta come se soffiassero: ARIA. Al piano inferiore l’iniziato trova in una chiave di volta il fiore di loto ad otto petali simbolo della TERRA (i quattro punti cardinali più i quattro punti solstiziali dove sorge e tramonta il Sole). Segue una chiave di volta che reca un fiore con petali e foglie seghettate come fiammelle: il FUOCO. I quattro elementi sono completi. Nel passare nella sala seguente attraversa una porta che ha un architrave triangolare in cui l’angolo al vertice del triangolo isoscele è aperto a 147 gradi. Questo è l’angolo interno di un endecagono, poligono a undici lati, e l’undici, secondo S. Agostino, è l’unione centrale del cielo (cinque) con la terra (sei). È chiaro il significato della tappa raggiunta dall’iniziato. Tale concetto di raggiunta unione del cielo e della terra è ribadito all’iniziato quand’egli scende al piano terra dalla scala della torre detta del «falconiere» collocata a Nord-Ovest (tramonto del Sole al solstizio d’estate). Qui il voltino della scala ha tre costoloni, due di essi sono sorretti da due teste, una femminile e l’altra maschile. Il terzo costolone non ha più sostegno perché totalmente scalpellato di proposito. Che cosa rappresentava? Quella mensola era tanto scomoda a qualcuno, tanto importante, tanto significativa? Il sospetto è legittimo se si pensa che lo spazio che doveva essere occupato da tale sostegno è per tutta la durata del giorno illuminato da un rettangolo di luce proveniente da una monofora collocata esattamente di fronte. Quindi tra l’uomo e la donna v’era qualcosa che veniva evidenziata dalla luce, quasi indicata. Modo pittoresco di riproporre l’unione centrale del cielo e della terra che S. Agostino aveva, altrettanto pittorescamente, condensato nel numero undici. Da qui l’iniziato si accinge ad uscire nel cortile e, come detto in precedenza, si trova davanti i portali disadorni nel rovescio, sia quello che immette nel cortile, sia quello che dal cortile ammette nella sala antistante l’ingresso principale. E il ritorno verso la profanità disadorna. Una volta fuori dal castello, l’iniziato si volge a guardare il portale principale e ora, che ha imparato a leggere i simboli e ne ha capito il linguaggio «in superioribus», vede il portale nella sua essenza: la stella a cinque punte, concentrato della Firma di Dio, la divina proporzione, ed in essa l’uomo di Agrippa di Nettesheim, ossia l’uomo che attraversa la porta che lo conduce verso la grande avventura dello spirito. Ormai egli è in grado di comprendere anche il significato delle cinque cisterne sulle torri senza una funzione pratica (ACQUA) e dei cinque camini del castello (FUOCO): «Oggi io vi battezzo con l’acqua, ma verrà chi vi battezzerà col fuoco», le parole di Giovanni nel Vangelo di Luca, come dire: nella vita iniziatica non basta più il battesimo dell’acqua, ma occorre il battesimo del fuoco. L’iniziato comprenderà inoltre il significato della stella Vega visibile in cielo al centro del cortile del castello a mezzanotte del solstizio d’estate e quindi della festa di S. Giovanni. Essa, che fu stella polare tredicimila anni fa e lo sarà ancora tra tredicimila anni, quindi stella di riferimento, stella guida, ammonisce chi intraprende il viaggio verso la dimensione iniziatica a volgere sempre gli occhi verso il cielo, unica e sola guida sicura sulla strada dello spirito. Ultimo messaggio che il Castello dava all’iniziato, già uscito, veniva dalla saracinesca del portale che, scendendo lentamente e chiudendo il varco dell’ingresso come si chiude una bocca, ammoniva al SILENZIO sull’esperienza vissuta. L'intera costruzione è intrisa di forti simboli astrologici, e la sua posizione è studiata in modo che nei giorni di soltizio ed equinozio le ombre gettate dalle pareti abbiano una particolare direzione. A mezzogiorno dell'equinozio di autunno, ad esempio, le ombre delle mura raggiungono perfettamente la lunghezza del cortile interno, ed esattamente un mese dopo coprono anche l'intera lunghezza delle stanze. Due volte l'anno (l'8 aprile e l'8 ottobre, ed ottobre in quel tempo era considerato l' ottavo mese dell' anno), inoltre, un raggio di sole entra dalla finestra nella parete sudorientale e, attraversando la finestra che si rivolge al cortile interno, illumina una porzione di muro dove prima era scolpito un bassorilievo. Sulle due colonne che fiancheggiano il portale di ingresso sono accovacciati due leoni, quello di destra che guarda verso sinistra e viceversa, rivolti verso i punti dell'orizzonte in cui il sole sorge nei due solstizi d' estate e d'inverno. Si può notare un'altra particolarità nell'edificio: alle cinque cisterne d'acqua presenti sotto le torri, si collegano idealmente cinque camini all'interno. Alcuni hanno posto in relazione questa presenza con le parole del Vangelo secondo Luca: Oggi io vi battezzo con l’acqua, ma verrà chi vi battezzerà col fuoco, accreditando così l'ipotesi che la costruzione fosse adibita ad una sorta di tempio. Il numero otto ricorre in vari elementi di questa costruzione: la forma ottagonale della costruzione, del cortile interno e delle otto torri ai vertici, le otto stanze interne, la vasca interna che doveva essere ottagonale, otto fiori quadrifogli sulla cornice sinistra sul portale di ingresso, altri otto sulla cornice inferiore, otto foglie sui capitelli delle colonne nelle stanze, otto foglie sulla chiave di volta, otto foglie di vite sulla chiave di volta della prima sala del piano terra, otto foglie di girasoli sulla chiave di volta di un'altra sala, otto foglie ed otto petali su quella della quinta sala, otto foglie di acanto sulla chiave di volta dell'ottava sala, otto foglie di fico sulla chiave di volta dell'ottava sala al piano superiore.

Santa Maria di Leuca: una terra tra due mari

La punta estrema della Puglia, al centro tra lo jonio e l'adriatico.


Santa Maria di Leuca: il cui nome gli venne attribuito dagli antichi marinai greci che provenivano dall'oriente, vedevano questo posto illuminato dal sole e perciò leukos, bianco.
Il resto del nome trae origine dallo sbarco di S. Pietro dalla Palestina, da numerose testimonianze è emerso che proprio qui abbia incominciato il suo processo di evangelizzazione, cambiando anche il nome della cittadina dedicandola alla Vergine. Il nome De finibus terrae invece nasce dai Romani. Santa Maria di Leuca è un centro balneare e peschereccio, nell'insenatura tra Punta Ristola e Punta Meliso, sorge in una magica posizione, dove da sempre si crede che il Mare Adriatico e il Mar Ionio si incontrano. Niente di più sbagliato, infatti da tutte le cartine nautiche e dagli accordi internazionali il Mar Jonio e il Mar Adriatico di incontrano a Punta Palascia nei Pressi di Otranto. Perla dell'estremo lembo d' Italia, si adagia in un tratto di costa alternato da scogliere e piccole calette di sabbia. Le numerose grotte sono di grande interesse storico e naturalistico e i fondali marini sono un vero e proprio paradiso per il turismo subacqueo. Con un entroterra prodigo di storia e cultura, di paesaggi splendidi da ammirare, di sontuose e colorate ville ottocentesche che declinano verso il lungomare. Una scalinata di 184 gradini collega la Basilica al sottostante porto cominciato a costruire nel 1906 ma, con lo scoppio della prima guerra mondiale, i lavoro dovettero fermarsi, i cantieri si riaprirono conclusa la guerra e si giunse nella marina nel 1939. La monumentale scalinata e la colonna romana furono inviate dal Duce di Roma. La cascata è stata aperta diverse volte in sessant'anni.

mercoledì 21 maggio 2008

Alchimia

L'alchimia era una filosofia che spiegava razionalmente la metamorfosi della materia. La trasmutazione ritenuta possibile da Berthelot e Figuier fu dimostrata realtà dalla signora Curie che pubblicò i suoi lavori alla fine del XIX secolo. Oggi sappiamo che non solo si può trasmutare una sostanza in un'altra ma che attraverso le operazioni chimiche si riesce anche a produrre nuovi metalli. Si è così avverato il sogno degli adepti vecchio di 17 secoli che anche se (forse) non riuscirono a scoprire quello di cui andavano in cerca, effettivamente incapparono in ritrovati imprevisti che condussero ad una serie di importanti scoperte chimiche. Gli alchimisti affermano che per effettuare la trasmutazione del vile metallo in oro, occorra un ingrediente importante senza il quale la trasmutazione stessa viene resa impossibile e vana; questo ingrediente è la "Pietra Filosofale". Assieme al potere di trasformare i metalli la Pietra Filosofale possedeva altre meravigliose virtù poiché curava tutte le malattie e prolungava la vita oltre i limiti naturali. Che cosa sia questa pietra non è noto che ai grandi Alchimisti che sono riusciti nel compimento della loro opera e, visto che l'alchimia è un percorso intimo e individuale, si sono ben guardati dal dircelo chiaramente....Alcuni dicono che la "Pietra Filosofale" sia una pietra rarissima e preziosa, praticamente introvabile, altri invece affermano che si tratti di una pietra assai comune che è possibile reperire ovunque persino tra le pietre in strada che calpestiamo soprappensiero. Se partiamo invece dal presupposto che non si tratti di una pietra "vera" ma che questo possa essere un ennesimo messaggio cifrato lasciato alla elaborazione degli adepti, forti della citazione "la pietra filosofale si trova tra le mani dei bambini che giocano con essa", possiamo arrivare alla conclusione che la pietra che stiamo cercando non è altro che la semplicità, la purezza, la pulizia mentale genuina e propria dell'infanzia che purtroppo perdiamo con il trascorrere degli anni. Recuperando questa pietra o, meglio, questo stato mentale, noi riusciamo a compiere l'opera e completare le varie fasi del processo alchemico che inizia dentro di noi sino alla trasmutazione in oro di tutto ciò che ci circonda, permettendoci di operare persino quelle meraviglie comunemente chiamate miracoli o magie dall'uomo comune. Ciascuno di noi cela in se stesso la pietra dei saggi. Tutto si trova dentro l'uomo. Nell'uomo risiede la vera medicina capace di guarire tutti i mali a patto che l'uomo impari a conoscersi e ad utilizzare saggiamente le inesauribili ed inestimabili risorse della propria natura. Visitare inteso non come un semplice pensiero ma bensì con la partecipazione di tutta la persona, con una intensa motivazione, procedendo sulla strada della ricerca con una mente che osserva, analizza, sceglie determinati percorsi ed avanza per raggiungere il fine prefissato. Il luogo da visitare viene indicato come l'interno della terra, non la superficie, ma la parte più nascosta e non visibile; naturalmente è la terra in un linguaggio simbolico. Dei quattro elementi: aria, acqua, fuoco e terra, viene indicato l'ultimo, il più materiale. Nel microcosmo dell'umano, il corpo fisico, con la sua materialità, viene associato all'elemento terra e quindi ne consegue che la ricerca deve essere orientata all'interno dell'Uomo anche se visitare l'interno della "terra" presenta una grande pericolosità.

domenica 18 maggio 2008

CAPOEIRA : danza o lotta?

La CAPOEIRA accompagnò il popolo brasiliano fin dalle sue più antiche origini. Nacque circa quattro secoli fa, (intorno al 1580), e la sua origine è negra, infatti gli schiavi africani bantù, deportati dai colonizzatori portoghesi in Brasile ed inizialmente nell'area di Bahia, portarono con sé i loro rituali e la loro cultura, diventato ormai un simbolo del Brasile. Questi schiavi africani originari dell'Angola e del Congo, venivano impiegati nelle piantagioni di canna da zucchero; al termine delle loro giornate si riunivano e ripercorrevano con la memoria il loro passato di libertà con i canti, le danze, le musiche ed i rituali: tra questi uno diventò "Capoeira", una particolare forma di autodifesa e di lotta mascherata sotto forma di rituale e mimica. Molti schiavi in questo modo riuscirono a difendersi dai soprusi e dalle frustate dei coloni europei, ad eliminare i sorveglianti bianchi che li vessavano ed a fuggire nelle foreste dell'interno del Brasile, in cui ricominciare a vivere secondo le loro abitudini e liberi da persecuzioni disumane. La CAPOEIRA è un frutto dello schiavismo, le parole di uno dei canti più antichi dicono: Se non ci fosse stata la schiavitù, non sarebbe esistita la "CAPOEIRA"; quest'affermazione corrisponde perfettamente ad una realtà storica. Infatti per non incorrere nelle punizioni dei padroni bianchi, gli schiavi praticarono questa forma di lotta o lontano dai loro occhi, di nascosto, oppure di fronte a loro, ma mascherandola sotto forma di rituale, di danza mimica acrobatica, con movimenti lenti ad incastro, al ritmo pacato di particolari strumenti tribali ed accompagnandola con canti, nenie e ritornelli spesso nella loro lingua, incomprensibile quindi per i portoghesi. Oggi invece le parole dei canti che accompagnano il gioco della Capoeira sono in portoghese - brasiliano e ripercorrono nella loro semplicità, soprattutto quelle dei canti antichi, la microstoria dei negri deportati in Brasile. La Capoeira, nata come lotta camuffata, anche dopo l'abolizione ufficiale della schiavitù in Brasile, proclamata solo nel 1888, continuò ad essere bandita dalla legge ed a essere praticata clandestinamente. Nel 1953 un avvenimento mutò il destino della Capoeira: dopo l'esibizione tenuta da un gruppo di capoeiristi della scuola di Mestre Bimba a Salvador de Bahia alla presenza del Presidente della Repubblica Getulio Vargas, essa cominciò ad essere maggiormente valorizzata, ebbe l'appoggio dei politici, degli intellettuali, degli artisti, dei militari ed entrò così anche nei Club, nelle scuole, nei teatri, nelle palestre della Polizia dell'Esercito, ecc. Grazie all'opera di alcuni Mestres, la Capoeira si divulga così su larghissima scala in tutto il Brasile ed all'estero, essendo cessato il pregiudizio di considerarla solo " arte dei negri ". Dal 1972 è stata dichiarata la ginnastica nazionale brasiliana, ed è anche stata istituita, per la sua diffusione mondiale, la Federazione Nazionale Brasiliana di Capoeira, che ha sede in San Paolo. Il gioco della Capoeira non diventa ma i culto di violenza; il capoeirista al contrario deve prendere coscienza di sé e del proprio corpo, rispettando l'altro giocatore, pur trattandosi ovviamente di combattimento. Occorre molta concentrazione, attenzione, coordinazione dei movimenti propri ed in sintonia sia col ritmo dato dagli strumenti, sia coi movimenti del proprio avversario: per questo motivo la Capoeira può essere considerata anche un ottimo aiuto anti-stress. Essa è anche una disciplina molto creativa perché i movimenti, sempre coordinati, non sono però programmati e preordinati, ma devono essere "ad incastro" con quelli dell'avversario. La Capoeira è una disciplina completa: si apprende a suonare gli strumenti musicali, a cantare in un'altra lingua; aumenta l'agilità del corpo e l'elasticità delle articolazioni, definisce e potenzia la muscolatura; aiuta ad essere più resistenti alla fatica ed agli sforzi; dà una valida possibilità di autodifesa in caso di aggressioni.

sabato 17 maggio 2008

il mio paese, Veglie: cripta della Favana

Cripta della Favana
La struttura ascrivibile al secolo IX è ubicata nell'area del Convento dei Francescani. Può essere annoverata tra le opere più importanti della cultura bizantina. Presenta un interessantissimo ciclo pittorico (secc. XIII-XV) purtroppo alterato a causa della forte umidità. C’è un sito artistico a Veglie di rilevanza e prestigio internazionale, la Cripta della Favana, che attira l'attenzione e lo stupore di visitatori provenienti da ogni parte del mondo.La Cripta della Favana, è stata infatti oggetto di studio da parte di numerosi eruditi italiani e stranieri fin dall'ottocento, divenendo, nel secolo XX, un argomento di interesse capitale in tutti quei saggi e quei convegni nazionali ed internazionali che hanno trattato gli insediamenti rupestri civili e religiosi dell'Italia Meridionale nel Medioevo. L'antico ipogeo può essere annoverato infatti tra le opere più importanti della cultura bizantina e presenta un interessantissimo ciclo pittorico (secc. XIII-XV) purtroppo alterato a causa della forte umidità.E' situata nei pressi del Convento dei Francescani del quale rimangono poche mura e una chiesetta attigua al cimitero. Presenta una forma architettonica di origine greco - orientale. Vi si accede attraverso un dromos (in cui è stata ricavata una scala di 13 gradini). Entrando, a sinistra, abbiamo un piccolo vano comunicante con la Cripta. Probabilmente si tratta del pastophorion cioè del locale adibito alle cerimonie preparatorie delle funzioni religiose. La Cripta ha un'unica navata con una piccola abside orientata ad est (l'orientamento ha motivazioni religiose e simboliche). Nell’abside era presente un altare di recente fattura su cui è ricavata una nicchia che serviva probabilmente da diakonicòn (cioè deposito di arredi sacri). Il pavimento è in terra battuta e il soffitto di m. 2.10 è perlopiù pianeggiante.La Cripta della Favana, contrariamente a quanto si sosteneva fino a poco tempo fa, è legata ad una comunità rurale che la utilizzava esclusivamente a scopo devozionale, e non ad un insediamento monastico o eremitico. Tuttavia è evidente la presenza del culto di rito greco, come raccontano glie elementi agiografia, linguistici ed architettonici, che pure coesistono con elementi del culto latino. Una coesistenza che conferisce maggiore importanza al sito poiché rappresenta il passaggio dai rito greco a quello latino.

AMREF e Flying Doctors

Nei primi anni '50, un coraggioso chirurgo inglese, Michael Wood, colpito dalle drammatiche condizioni sanitarie delle aree rurali, decide di impegnarsi a portare soccorso agli abitanti dei villaggi, con un piccolo aereo. Ma presto si rende conto che tutto ciò non basta: per curare davvero bisogna prevenire, offrendo educazione sanitaria e formazione alle popolazioni locali.

Nel 1957 nascono così AMREF - African Medical and Research Foundation - e Flying Doctors. AMREF è la prima organizzazione sanitaria privata di identità africana, nata in Africa e con base in Africa. Nel 1999, AMREF vince "l' Hilton Foundation Humanitarian Prize", prestigioso riconoscimento a livello mondiale, per aver saputo costruire "…un moderno sistema sanitario, diretto e gestito localmente e accessibile a tutti". AMREF è diventata la principale organizzazione sanitaria privata, senza fini di lucro, presente in Africa Orientale, impiega oltre 700 persone, per il 97% africani, gestisce 140 progetti di sviluppo sanitario e opera in 22 paesi.
In 50 anni di attività, AMREF ha soccorso, vaccinato, curato, operato e soprattutto istruito milioni di persone. Il braccio operativo più noto è ancora oggi il servizio dei Flying Doctors, che porta regolare assistenza specialistica e chirurgica agli ospedali delle zone isolate. A terra, AMREF è presente con Centri Sanitari e Unità Mobili di chirurgia, prevenzione, vaccinazione e oculistica, in grado di fornire assistenza medica alle popolazioni rurali e nomadi.
Dal 1957 i Flying Doctors, i dottori volanti, operano, assistono e formano in questo contesto. La base operativa si trova in Kenya, a Nairobi, ma il loro raggio di azione copre un territorio vastissimo: Kenya, Tanzania, Uganda, Somalia, Etiopia, Sudan e Ruanda.
In Africa Orientale operano appena 8 medici e 32 infermieri ogni 100 mila abitanti, il 90% dei quali concentrati nei grandi centri urbani, dove opera maggiormente il sistema sanitario statale.Il 70% della popolazione vive invece nelle aree rurali, territori vastissimi semidesertici, dove gli ospedali sono rari, privi dei farmaci e delle strumentazioni necessarie, e con personale scarso, inesperto e non aggiornato.Per questo motivo, negli ultimi 20-30 anni, è stata dedicata sempre più attenzione allo sviluppo di piccoli centri sanitari e infermerie, affinché possano garantire un’assistenza sanitaria di base alle comunità che vivono nelle aree più lontane dai principali centri urbani. Ad oggi questi “ospedali remoti” forniscono ancora un servizio sanitario scarsamente efficiente, a causa dell’assenza di personale medico qualificato e di attrezzature, penalizzando fortemente le comunità. I Paesi del Kenya, Tanzania e Uganda e quelli ad essi confinanti come Somalia, Sudan, Ruanda, Burundi, sono anche soggetti a frequenti epidemie. Le difficili condizioni climatiche, di conflitto e in molti casi di estrema povertà, contribuiscono alla mancanza d’igiene e alla malnutrizione, fattori che rendono le popolazioni particolarmente vulnerabili al diffondersi di pericolose infezioni (AIDS, colera, tubercolosi, meningiti e febbri emorragiche come l’Ebola). L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato la gravità della situazione in Africa orientale e la necessità di diagnosticare, contenere e monitorare preventivamente lo scoppio di epidemie. AMREF è attualmente la più grande organizzazione medica del continente africano.
AMREF ITALIA
AMREF Italia è stata fondata nel 1988, ha una sede centrale a Roma dalla quale vengono gestite tutte le attività, una sede regionale a Milano e una delegazione regionale a Firenze. Sono gia attivi e formalizzati i Gruppi di Volontari “Amici di AMREF” di Roma, Milano, Torino, Genova, Napoli, Bologna, Firenze, Lucca e altri gruppi sono in fase di costituzione in molte regioni Italiane. Per AMREF Italia ha operato per molti anni come testimonial il popolare comico Giobbe Covatta, altri amici di AMREF sono Fabio Fazio, Sveva Sagramola e Luca Zingaretti:

venerdì 16 maggio 2008

Laser & Laserterapia

Oggi come ricorda Google è il compleanno del primo laser, nel 1960 Theodore Maiman, si apprestava a presentare al mondo quello che si sarebbe rivelato uno strumento fondamentale per l’attuale tecnologia. Sviluppando la teoria di Albert Einstein sull'emissione stimolata di radiazioni, il fisico americano realizzò per primo un artigianale laser al cristallo di rubino, l'invenzione che ha dato vita a tutte le successive applicazioni laser.
LASER & LASERTERAPIA
Il Laser e le sue proprietàLa luce e l'energia luminosa in generale rivestono un'importanza fondamentale nello sviluppo e nella vita di qualsiasi essere vivente; basti pensare alle piante e al ruolo decisivo che svolgono i fotoni nella realizzazione del processo fotosintetico dei vegetali. L'energia solare agisce sui corpi grazie agli effetti provocati dalle piccole particelle di materia che la compongono, i fotoni. Le sorgenti luminose naturali a disposizione dell'uomo sono state studiate e analizzate nel tempo, arrivando alla creazione e alla specializzazione sempre più avanzata di sorgenti artificiali.Il LASER è l'ultimo e il più avanzato tipo di sorgente luminosa oggi a nostra disposizione. L.A.S.E.R. (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation) significa amplificazione di luce per mezzo di un'emissione stimolata di radiazioni. Lo schema di un emettitore Laser si configura come una cavità ottica, delimitata da due specchi, all'interno della quale è posto il mezzo destinato a produrre la radiazione. Tale materiale può essere un gas, un solido o un liquido.

Laser terapeutici: L'importanza della luce nello sviluppo dei processi biologici era nota fin dall'antichità e i bagni di sole cui si sottoponevano gli Egizi ne sono la prova più evidente. La possibilità di concentrare la luce e di sfruttarla, in modo potenziato, per scopi diversi, fu intuita agli inizi del secolo scorso, grazie alle teorie di Albert Einstein e, dopo la seconda guerra mondiale, applicata da fisici statunitensi e sovietici.La tecnologia Laser applicata al campo medico ha visto la propria nascita alla fine degli anni '70-inizi anni '80 e, da quel momento ha fatto registrare una continua evoluzione. La Laserterapia ha ricevuto consensi e accettazione per prima in Europa e successivamente in Asia. La specializzazione continua ha consentito di utilizzare le sorgenti Laser per diversi usi medici e ha individuato come migliori per la biostimolazione la combinazione tra le luci Laser pulsate e i Laser continui.
Campi di applicazione:
Patologia artro-reumatica:

Artrosi Sciatalgie Poliartriti scapolo-omerale Poliartriti delle mani e dei piedi Epicondiliti Artrosi dell'anca nelle fasi iniziali Gonalgie con e senza versamento Torcicollo Lombaggini Miositi
Traumatologia sportiva:
Stiramenti e strappi muscolari Distorsioni articolari Epicondiliti Tendiniti Contusioni Ematosi ed ecchimosi Borsiti
Terapia dermatologica:
Edemi venosi Postumi di flebite Dermatosi varicose Ulcere varicose Herpes Zoster Acne cistica Esiti di acne Particolari casi di dermatiti
Terapia riabilitativa:
Riabilitazione motoria articolare dopo la rimozione di apparecchi gessati o interventi chirurgici ortopedici
Terapie specialistiche:
Sinusiti Ipertrofia dei turbinati Riniti ribelli Faringiti croniche Gengiviti Crisi emorroidarie acute

Man Ray: l’occhio artistico che adorava i nudi femminili

Man Ray (Filadelfia 1890 - Parigi 1976) impersonifica l’enigma del surrealismo. Man Ray, «uomo raggio» pseudonimo che aveva adottato già negli Stati Uniti, inconsapevole premonitore del suo futuro artistico, è il perfetto interprete del surrealismo come lo era stato del dadaismo. Perché «uomo raggio»? Man Ray pretende, forse per ignoranza della storia della fotografia e all’epoca non stupisce, di aver creato il fotogramma che battezzerà orgogliosamente rayogramme. Il raggio di luce, appunto, che illumina gli oggetti e ne ferma l’immagine in trasparenze suggestive. La fotografia per Man Ray era un elemento manipolabile che poteva dare impulsi diversi dalla sua rappresentazione e pertanto, nel processo di integrazione con altri supporti, subiva una sorta di desacralizzazione, che forse andava a discapito dell’immagine ma se ne avvantaggiava la concettualità d’espressione. Infatti nelle sue opere si ravvisa sempre l’ elaborazione concettuale intrisa di paure, angosce e denunce. In Europa venne a contatto con André Breton, figura dominante del movimento surrealista, un movimento che, tra l’altro, decantava ed adorava il corpo femminile in una sessualità idealizzata, Man Ray, pur dedicandosi dal 1923 a Parigi alla fotografia come professione, si distaccò da questa concezione di “sessualità idealizzata” e si servì del corpo come” veicolo principale del suo progetto estetico, riutilizzando lo stesso corpo ogni volta questi aveva una rilevanza importante nella sua vita”. Eseguì moltissimi ritratti, soprattutto ad Alice Print, nota col nome di Kiki di Montparnasse, sua amante e musa ispiratrice. Una delle sue opere più affascinanti è Le Violin D’Ingres, al torso di questa bella donna Man Ray sovrappose due chiavi di violino, fondendo due realtà in una unica e facendo diventare, quest’immagine, un’icona surrealista. Lo scoppio della Seconda Guerra mondiale lo costrinse a ritornare in America e a Hollywood dove si stabilì, ricominciò ad interessarsi di pittura. Solo nel 1951 poté fare ritorno in Francia dove abbandonò la fotografia per la pittura e dove visse sino al 1976, anno della sua morte.

Drive In

CAMPIONI DEL MONDO 2006